22 marzo 2002
Folla di studenti al processo antimafia. Rievocati gli attentati contro don Puglisi
"Con l'uccisione di padre
Pino Puglisi è morta la speranza a Brancaccio". Mario
Romano ne ha viste e sopportate tante: gli hanno bruciato la
porta di casa, hanno ammazzato il suo pastore, quel prete dal
sorriso leggero che sognava un quartiere normale in una città
accogliente. Adesso, abbandonato sopra una panca del Palazzo di
giustizia, "il ragazzo di don Pino" si lascia prendere
dall'amarezza dei pensieri e delle parole e dice che a Brancaccio
"Le cose vanno a peggiorare" e si mette la testa tra le
mani.
Primo giorno di primavera, quarta udienza del processo per le
porte di casa bruciate - il 29 giugno del '93 - ai più stretti
collaboratori del prete assassinato, l'attentato anticipò di due
mesi l'esecuzione decretata dal boss Graviano. Giuseppe e Filippo
Graviano, Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Vito Federico e Santo
Carlo Cascino (gli ultimi due considerati "gregari"
dell'organizzazione) rispondono di danni e intimidazioni. Secondo
l'accusa furono loro a mandare in fumo gli ingressi delle
abitazioni di Pino Martinez, Mario Romano e Giuseppe Guida.
"Fu un atto chiarissimo - ricorda Pino Martinez - una sorta
di avvertimento, il tentativo di bloccare un sacerdote scomodo e
le battaglie del comitato intercondominiale. Noi andremo avanti
nel nome di don Pino. Abbiamo ricevuto tanta solidarietà, anche
da radio Aut che lotta per la memoria di Peppino Impastato".
Primo, caldissimo, giorno di primavera. Mario Romano e Giuseppe
Guida - che con Martinez si sono costituiti parte civile - devono
deporre. L'attesa nell'atrio della quinta sezione è intrisa di
nervosismo e sudore. Aspettano sopra la stessa panca i tre
moschettieri di padre Puglisi - sparuta icona della società
civile - accanto, un esercito multicolore di ragazzi. Sono gli
alunni del liceo scientifico Basile e dell'Iti Volta, una scuola
nel cuore di Brancaccio, l'altra a due passi. Non perdono una
puntata. E proprio questi teen ager di periferia sono il
termometro della speranza. "La situazione è difficile -
racconta Anna - mia sorella ha fatto il censimento Istat a
Brancaccio e ha visto cose terribili: famiglie che vivono in
garage, venti persone che abitano tutte insieme nella stessa
stanza...".
"Però forse qualcosa si sta risvegliando", azzarda
Irene.
Quel "forse" è una porta girevole tra paradiso e
inferno. "Ci vuole pazienza - insiste la professoressa
Daniela Raja - la scuola, comunque, è un porto franco".
Fuori, la cappa di una presenza che, riconosce Irene, "si
avverte chiaramente". Ma i ragazzi di Brancaccio non
vogliono essere rinchiusi nel collo stretto di un luogo comune.
"Ci sono dei problemi - reagisce uno con la coppola - ma i
problemi esistono dappertutto, certo a Brancaccio si vive nell'emergenza".
Ne sa qualcosa il comitato che ha lottato, insieme a un prete dal
sorriso leggero, per portare nel quartiere la fognatura e la
scuola, simboli diversi della stessa dignità. La scuola, oggi,
è una realtà. Resistono gli antichi baluardi: la parrocchia di
San Gaetano e il centro Padre Nostro. Però padre Pino non c'è
più, Martinez è andato via. Invece gli altri due moschettieri
sono rimasti. A malincuore. "Se potessi, scapperei. Mi hanno
emarginato", dice Mario Romano. Poi ripete: "La
speranza è morta con don Pino, nessuno ha saputo raccogliere la
sua eredità". Scocca l'ora dell'udienza, testimoni e
ragazzi si infilano nell'auletta di giustizia. In videoconferenza
i fratelli Graviano ascoltano. Fioccano le domande del pubblico
ministero, Egidio La Neve.
E i testimoni ricostruiscono l'epoca delle intimidazioni,
scattano istantanee appena scolorite dal tempo. Tocca sempre a
Romano: "Volevamo solo vivere in un quartiere civile",
ed è un sussurro quasi una preghiera. Vivere in un posto civile.
Era il sogno toccante di don Pino. E' il vecchio sogno dei
professori chiusi nel recinto di una scuola, è il sogno appena
nato dei ragazzi che volano via, quando si conclude il rito della
giustizia. Escono dai saloni severi del Palazzo, ridendo a
squarciagola. Ridono e si baciano i ragazzi. E Brancaccio diventa
un presagio dissolto, un destino lontano. Ora, che è ancora
primavera.
Roberto Puglisi
22 marzo 2002
Alunni di Basile e Volta
alle udienze sulle minacce a Puglisi. L'iniziativa:
Due scuole "adottano"
un processo di mafia
Due scuole palermitane adottano
un processo, quello che vede imputati i boss di Brancaccio per le
intimidazioni ai collaboratori di don Giuseppe Puglisi che
avevano creato il Comitato intercondominiale di via Hazon. Ogni
udienza che si celebra alla quinta sezione del tribunale ci sono
le delegazioni dell'Iti Volta e del Liceo scientifico Basile:
cento ragazzi che in questi mesi stanno ripercorrendo, con i loro
docenti, l'itinerario di impegno del parroco di Brancaccio
assassinato dalla mafia nel '93. Un prete di borgata che faceva
paura ai clan perché, con la forza della parola, era riuscito a
strappare i giovani dalla criminalità organizzata per
avvicinarli alla solidarietà e al dialogo.
Drammatica l'udienza del processo di ieri mattina. Le
testimonianze di Giuseppe Guida e Mario Romano, a cui furono
bruciate le porte di casa, hanno riaperto un capitolo ancora
inesplorato del martirio di don Puglisi: l'isolamento del
sacerdote e del comitato di via Hazon che nei mesi precedenti l'omicidio
lanciò ripetuti appelli alle istituzioni, perché Brancaccio
avesse una scuola media e gli altri servizi necessari.
"Incontrammo i responsabili del Provveditorato, dell'Ausl,
della prefettura, del Comune - raccontano i testimoni rispondendo
alle domande del pubblico ministero Egidio La Neve - ma non
ottenemmo nulla". I ragazzi ascoltano attenti. I boss di
Brancaccio, Filippo e Giuseppe Graviano, Nino Mangano, Gaspare
Spatuzza, guardano l'aula collegati in vidoconferenza da un
carcere del Nord: il colpo d'occhio sul monitor è d'effetto.
Insieme agli studenti ci sono anche i rappresentanti di
associazioni e movimenti.
L'ultima adesione è arrivata dall'Associazione Radio Aut, in un
ideale gemellaggio fra il processo Puglisi e quello per l'omicidio
di Peppino Impastato. "Non facevamo niente di rivoluzionario
- dice Romano - in un quartiere si deve vivere con tutti i
diritti".
Salvo Palazzolo
25 marzo 2002
Brancaccio: il processo va
avanti.
Martinez: " Un
passo nella giusta direzione ".
Era il 18 di Dicembre del 2001
quando il Presidente della Corte d' Assise di Palermo accetto' la
costituzione di parte civile nell'ambito del processo ai mandanti
e ai sicari di Don Pino Puglisi - il parroco di Brancaccio
eliminato dalla mafia la sera del 15 settembre del 1993 - del
Comitato Intercondominiale del quartiere.
Una grande soddisfazione, quella provata dai componenti di quella
coraggiosa associazione, visto che la richiesta per la
costituzione di parte civile non era detto che fosse ammissibile.
"Gli avvocati difensori degli imputati hanno giocato sul
fatto che come associazione ci eravamo legalmente costituiti dopo
la morte di padre Puglisi - dice Pino Martinez, tra i fondatori
dell' Comitato - " e pertanto non rappresentavamo, secondo
loro, quello stesso gruppo, il Comitanto Intercondominiale, che
aveva condiviso a Brancaccio l'impegno civile e religioso con
padre Puglisi.
Ce l'abbiamo fatta, ed era evidente la nostra commozione" -dice
Martinez ripercorrendo - in occasione della quarta udienza del
processo contro mandanti e gregari di quell'omicidio, tra cui i
boss indiscussi del quartiere, i fratelli Graviano- quella
giornata di dicembre che ha assunto un valore simbolico: la
societa' civile, per la prima volta, entrava a pieno titolo in un
processo di mafia.
"È stato il primo passo per chiedere che sia fatta
giustizia nei nostri confronti; nei confronti di chi dopo circa
nove anni non si è mai tirato indietro, ma è ancora impegnato
in battaglie per affermare il principio della legalità e per
contrastare la cultura mafiosa" - ribadisce con immutato
entusiasmo Martinez.
Ed il pensiero - mentre viene tracciato questo excursus che e'
solo una tappa intermedia fra le tante che ancora sono di la da
venire - Martinez lo rivolge al ricordo di Don Pino Puglisi.
" Sarebbe orgoglioso di noi e della nostra azione come un
padre puo' essere orgoglioso dei proprii figli " - dice
Martinez.
Ed un padre per i componenti del Comitato Don Pino lo era
veramente: era un padre spirituale, oltre che un punto di
riferimento solido su cui chiunque poteva contare.
"Lui ha dato la sua vita in modo consapevole perché aveva
capito che qualcuno di noi stava per pagare il conto per l'aver
voluto mettere in discussione, poco alla volta, il controllo di
un territorio che fino ad allora era stato indiscutibilmente
nelle mani del potere politico-mafioso" -ricorda Martinez
nel suo racconto.
Piu' volte Don Pino nelle sue omelie aveva infatti fatto capire
ai parrocchiani che mai avrebbe accettato che qualcuno fosse
stato costretto a pagare con la vita l'impegno assunto nella
lotta al crimine e al malaffare: che dei semplici cittadini
avevano scelto di combattere insieme a lui; insieme al parroco di
un quartiere a ferro e fuoco.
E Gregorio Porcaro, l'ex vice parroco, trabocca entusiasmo e
soddisfazione per la decisione dei Giudici: "Essere stati
ammessi come parte civile sarà forse un passo verso ciò in cui
crediamo sia giusto credere: la giustizia. Don Pino ci ha
insegnato con la vita che bisogna perseverare nella speranza
nonostante tutto. Per anni noi dell'Associazione
Intercondominiale ci abbiamo creduto e abbiamo sperato e
continueremo a vivere credendo e sperando. Oggi la decisione
presa dal giudice ci conferma che la strada è quella giusta.
"
Rino Martinez - il cantautore palermitano da sempre impegnato
attraverso le sue canzoni nella sensibilizzazione rispetto ai
problemi di mafia ed illegalita' - ha voluto invece sottolineare
che nella vita vale sempre la pena di lottare.
" La speranza per una società più giusta va alimentata
perché ci aiuta ad impegnarci per un futuro migliore per i
nostri figli" - ha detto Rino.
Giuseppe Carini, che vive ormai da anni lontano da Palermo e
sotto protezione, ha detto:" Non per vendetta ma per
giustizia abbiamo scelto di costituirci parte civile".
E si e' espressa anche Avia - la professoressa che ha collaborato
accanto a Suor Carolina prendendo parte alle attivita' del Centro
Padre Nostro: " L'amore per la verita' di Giuseppe Carini
sapeva di sale: il Comitato era e resta un modello di impegno
civile che potrebbe essere ripreso in altri quartieri, e specie
in quelli considerati a rischio".
E poi Mario Romano, che mette in risalto l'importanza di essere
stati ammessi come "parte civile".
" Un'occasione per la società civile palermitana di
ripartire dopo avere dovuto inghiottire tanti bocconi amari da un
po' di tempo a questa parte nella lotta contro la mafia." -
ha commentato Romano.
Tutti concordi i componenti dell'Associazione Intercondominiale
nel sostenere che la lotta alla mafia non potrà mai avere esito
positivo fino a quando le forze sane della politica e della
società civile non si ritroveranno unite.
"Unite così come lo eravamo noi a Brancaccio " - ha
concluso Martinez.
Alessandra Verzera
12 aprile 2002
Ciampi incontra la media Puglisi: al fianco dei ragazzi di Brancaccio
Non a caso, il preside Gaetano Pagano
definisce "un pellegrinaggio nei santuari delle istituzioni",
il soggiorno a Roma di una delegazione di studenti della scuola
media Padre Pino Puglisi di Brancaccio. Un'occhiata al programma,
lo conferma: mercoledì i 46 alunni con 5 accompagnatori sono
stati in udienza generale dal Papa. Ieri mattina, un incontro al
Quirinale con il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi,
che un paio di anni fa inaugurò l'istituto per cui tanto si battè
il sacerdote ucciso dalla mafia. "Sarò felice di
rincontrarvi tra qualche anno: io sarò ancora in carica, spero
che voi avrete continuato gli studi, vi esorto a farlo", ha
detto Ciampi ai ragazzi.
Subito dopo, la delegazione è andata a palazzo Madama dal
presidente del Senato, Marcello Pera, che ha ricordato l'impegno
morale e civile di Don Pino ed ha detto che "la lotta che le
forze dell'ordine ed i magistrati conducono contro la mafia è
molto importante, ma a nulla varrebbe se nei giovani non si
diffondesse una cultura di testimonianza della democrazia".
Il senatore dei Ds, Costantino Garraffa, anch'egli presente, ha
aggiunto che "la scuola Puglisi è un esempio del lavoro che
le istituzioni possono compiere per cambiare l'impostazione
culturale di un territorio e quindi per sconfiggere la mafia".
Dopo un pranzo a Palazzo Madama, nel pomeriggio tappa alla chiesa
di Santa Maria Ogiditria dei siciliani da monsignor Michele
Pennisi, primicerio della Confraternita, tra gli sponsor del
viaggio assieme al Comune capitolino (coprirà le spese dell'alloggio)
e alle Ferrovie. Oggi si continua con il presidente della Camera,
Pierferdinando Casini, con Luciano Violante e Beppe Lumia. Alle
sedici, visita al Campidoglio dal sindaco Walter Veltroni. Infine,
domani giro per i musei Vaticani.
Filippo Pace
26 aprile 2002
Due pregiudicati di via Hazon accoltellati al Borgo Vecchio: 51 fendenti
Omertà al Borgo. Cinque denunciati
Borgo Vecchio. Controlli della polizia ieri mattina: sono stati denunciati 5 negozianti per favoreggiamento
La decisione era nell'aria,
mercoledì lo stesso questore aveva annunciato che non vi sarebbe
stata alcuna indulgenza verso chi ha visto e continua a tacere.
Ieri mattina, a meno di 48 ore dal massacro del Borgo Vecchio,
cinque commercianti sono stati denunciati. Per favoreggiamento.
Sanno e non dicono, hanno visto ma agli inquirenti "continuano
a negare e a inventare fandonie", dice Cirillo.
I provvedimenti sono stati presi per titolari e impiegati di
alcune botteghe proprio in piazza. Il capo della squadra mobile
Guido Marino dice che non potevano non vedere. "Non
sospettiamo che ci mentano, ne abbiamo le prove", spiega. La
sfilata di commercianti e dipendenti negli uffici della squadra
mobile, dice chi indaga, è stata un campionario tragicomico, un
ammasso di bugie inverosimili.
Ma è possibile che nessuno, proprio nessuno, abbia assistito a
un'esecuzione avvenuta in pieno giorno nella piazza del Borgo
Vecchio? D'altronde non si può nemmeno dire che sia stato un
omicidio fulmineo e silenzioso.
Basti pensare che Chiovaro, così è emerso dall'autopsia, è
stato ucciso con trentotto coltellate e Lupo con tredici. Ad
agire sarebbero state quattro o cinque persone, due o tre
tenevano fermi i pregiudicati, gli altri colpivano all'impazzata,
un omicidio fin troppo plateale per passare inosservato.
Il questore, intanto, ha vietato i funerali pubblici per i due
uccisi, che saranno tumulati oggi. La decisione è stata presa,
lo dice lo stesso Cirillo, "per evitare qualunque tipo di
manifestazione o strascico". Visto il clima che si respira
dopo l'omicidio al Borgo Vecchio e a Brancaccio (i due abitavano
qui, in via Azolino Hazon), il questore vuole soffocare qualsiasi
possibile focolaio di incidenti, non vuole offrire pretesti per
fare salire ulteriormente la tensione.
Sul fronte delle indagini, ieri gli investigatori della squadra
mobile hanno presentato un primo rapporto al sostituto
procuratore Michele Prestipino. Nelle trenta pagine della
relazione viene ricostruita la dinamica dell'omicidio, quindi
vengono avanzati i motivi che avrebbero determinato la morte di
Chiovaro e Lupo.
Due sono già noti, il traffico di droga e il giro di auto e moto
rubate, un altro sarebbe emerso nelle ultime ore ed è uno spunto
investigativo ancora tutto da appurare. Niente dettagli, per ora,
solo la certezza che anche questo sarebbe riconducibile ai
traffici tutt'altro che leciti di cui i due si occupavano.
Secondo gli elementi finora raccolti dagli agenti, Chiovaro e
Lupo avevano un appuntamento con i loro assassini, forse per un
incontro chiarificatore, forse per parlare d'affari. Difficile
dire se le coltellate siano partite subito, se cio l'omicidio
fosse stato programmato, o se le cose siano precipitate durante
la discussione.
Con chi dovevano incontrarsi i due? Per scoprirlo i poliziotti
stanno controllando, ormai dai momenti immediatamente successivi
al delitto, i cellulari dei due, trovati a terra accanto ai corpi
ormai senza vita. Dal traffico telefonico delle ultime ore si
potrebbero ottenere informazioni preziose, compresi i nomi delle
persone con cui le vittime avevano parlato poco prima di morire.
Interessanti potevano essere pure le tracce di sangue lasciate
sul selciato dagli assassini o da uno di loro. Il lavoro degli
esperti della Scientifica, però, rischia di essere vanificato
dalle abbondanti secchiate d'acqua che qualcuno, prima dell'arrivo
della polizia, ha gettato a terra per cancellare ogni traccia. Un
ulteriore tentativo, spiegano gli inquirenti, per dare una mano
ai killer, per renderne impossibile la loro individuazione.
Francesco Massaro
24 aprile 2002
"Nove anni dopo quello
è ancora il simbolo dell'illegalità". I due ragazzi uccisi
abitavano nel palazzo di via Azolino Hazon a Brancaccio che Padre
Puglisi voleva recuperare
Un condominio terra di
nessuno
Un pomeriggio afoso di nove
anni fa, don Pino Puglisi li aveva percorsi tutti gli scalini di
quel palazzone maleodorante di via Azolino Hazon 18. Fino in cima,
lì dove abitano le famiglie Chiovaro e Lupo. Le porte si
aprirono, il piccolo parroco di Brancaccio portava una
benedizione, un sorriso e la promessa che quel condominio non
sarebbe stato più ghetto con le fogne a cielo aperto.
Don Pino fu ucciso qualche mese dopo dalla mafia. I boss di
Brancaccio avevano fatto sapere che quel palazzo doveva restare
così, perché lo scantinato era la base operativa di troppi
affari. Altro che scuola media, consultorio, circoscrizione,
ufficio dei vigili urbani, così come don Pino chiedeva alle
istituzioni cittadine. Via Azolino Hazon 18 doveva restare zona
franca.
"Sono passati nove anni e quel palazzo è ancora il simbolo
dell'illegalità", dice Maurizio Artale, direttore del
centro Padre Nostro fondato da don Pino: "Un drammatico
rimpallo di competenze ha impedito che si facesse un solo passo
avanti in questa vicenda".
Subito dopo l'omicidio di padre Puglisi, il prefetto ordinò di
murare gli ingressi dello scantinato. Ma oggi, qualcuno ha
risistemato comodi varchi che sono un continuo via vai. Sulla
carta, il proprietario è la curatela fallimentare dell'impresa
Pilo, di fatto lo scantinato è tornato ad essere terra di
nessuno.
Era lì che si vedevano spesso Vincenzo Chiovaro e Antonino Lupo.
Ma, infondo, attorno a quello scantinato ci stanno tutti. Persino
i bambini del condominio che non hanno altro posto dove andare a
giocare a pallone. Lì è arrivata la prima notizia che i due
giovani di Brancaccio erano morti. E attorno allo scantinato si
è riunita tutta la comunità, mentre i familiari correvano verso
il Civico e Villa Sofia. "È un incidente, non può che
essere stato un incidente", dice un amico dei due giovani.
"Forse Lupo aveva un carattere spigoloso, ma morire così è
assurdo". È l'ora del catechismo nella vicina parrocchia di
San Gaetano. Mentre in chiesa i bambini recitano le preghiera, le
mamme parlano dei due giovani e delle loro donne: "Vincenzo
e sua moglie erano legatissimi, sempre insieme. Avevano cinque
figli ma sembravano due fidanzatini. Antonio Lupo era fidanzato".
Inutile chiedere che mestiere facessero. Tutti rispondono: "Niente".
"È una storia emblematica quella di Chiovaro e Lupo",
dice Pino Martinez, uno dei fondatori del centro
intercondominiale di via Hazon: "Una storia di solitudine e
di emarginazione, come quella dei tanti ragazzi che vivono nel
palazzo. La battaglia di padre Puglisi e quella nostra per via
Hazon 18 era una battaglia per il riscatto. Eravamo anche
riusciti ad ottenere qualche promessa. Ma sono rimaste tali: il
palazzo è ancora il simbolo dell'illegalità, le istituzioni non
sono mai arrivate in questa parte di città".
Eppure via Hazon 18 è anche il simbolo di un riscatto possibile:
alcuni degli abitanti della zona, tra i fondatori del comitato
intercondominiale, si sono costituiti parte civile contro i boss
di Brancaccio che nel '93 incendiarono le porte delle loro case,
come ritorsione.
"Inviterò il sindaco a convocare al più presto una
conferenza di servizio su via Hazon", dice Antonio Diliberto,
animatore del centro Padre Nostro e consulente per le attività
sociali, prima di Leoluca Orlando, oggi di Diego Cammarata:
"Se non si avvia al più presto un'opera di bonifica
igienicosanitaria, sarà difficile proseguire e proporre un
cammino di riscatto sociale. E ad essere chiamate in causa sono
tutte le istituzioni, nessuna esclusa".
Salvo Palazzolo
24 aprile 2002
Lo sgomento del parroco
Mario Golesano le reazioni
"È stata una
morte annunciata un altro schiaffo a Don Puglisi"
"È una morte annunciata
quella di Vincenzo Chiovaro e Antonino Lupo. I
giovani di Brancaccio non sperano più. Lo Stato è latitante. E i nostri tentativi di riscatto
ripiombano improvvisamente nel buio". Padre Mario Golesano,
parroco di San Gaetano, lancia un grido d'allarme: "La
chiesa e le associazioni non possono sostituirsi alle istituzioni,
che devono fare piuttosto la loro parte sino in fondo. E così
non accade. Quale alternativa è stata offerta a Vincenzo e
Antonino? Nessuna", dice il parroco di Brancaccio. "Li
abbiamo fatti vivere nella melma. E in quell'ambiente così
putrido che è il condominio di via Hazon 18, con le fogne a
cielo aperto, non può nascere la coscienza di un riscatto morale".
Il parroco di San Gaetano ricorda l'ultima visita del cardinale
Salvatore De Giorgi a Brancaccio: "Lo volli portare proprio
alle soglie di quel palazzo - dice Golesano - e le parole dell'arcivescovo
furono lapidarie: "Non è pensabile che ci sia gente che
vive in questo modo". Ma nonostante i nostri ripetuti
appelli, nulla è cambiato".
La parrocchia di San Gaetano si stringe attorno "ai fratelli
di via Hazon". Don Golesano lancia un appello "a
rompere la catena dell'odio e della violenza". Ma dice anche:
"Non prendiamoci in giro. La città abbia il coraggio di
ammettere che alcune zone di Palermo fondano la loro economia
sull'illegalità. E quale alternativa offre lo Stato? Quale
progetto organico per le periferie hanno in mente le istituzioni?
Cosa diciamo alla nostra gente, agli amici, ai familiari di
Vincenzo e Antonino? Quale modello abbiamo proposto per
convincere gli abitanti di via Hazon che è più bello stare
dalla parte della democrazia, della libertà e della legalità?
Lo Stato ci sta ancora pensando. Ma non c'è più tempo. Padre
Puglisi è stato ucciso. La morte di Antonino e Vincenzo è un
altro schiaffo alla memoria di don Pino".
Salvo Palazzolo
26 aprile 2002
Via Hazon: "Siamo poveri forse ladri, ma non pedofili"
C'è il videocitofono, "ma
non funziona". Il portone è aperto "questo sì, sempre".
Ma poi, tra le scale e l'androne ci sono i cancelli. "Come
all'Ucciardone". Colore tra il grigio e il verde. Per
renderli meno tetri li hanno addolciti con delle margheritine.
Primo atrio a sinistra. Il banco col drappo dell'impresa di
Nunzio Trinca. Una pagina di firme incerte, alcune minute e
stentate. Altre grandi e infantili. È il cordoglio che cede alla
modernità dei condomini. Antonino Lupo, nato 35 anni fa, morto
martedì, viveva qui. Come l'amico Vincenzo Chiovaro che aveva
due anni in più. E una famiglia con quattro figli: 12 e 10 anni
i più piccoli. Non c'è il banchetto per Chiovaro. "Lo
hanno portato dalla madre, allo Zen". Lontano da qui, dagli
stenti di una famiglia che ha campato della solidarietà del
palazzo: 73 famiglie su 12 piani di case pensate per la vendita e
diventate popolari e abbandonate a loro destino. Con un enorme
scantinato che è tabù. Murato con i blocchi di tufo dietro le
cancellate. Dove dicono che l'acqua di fogna arrivi al ginocchio,
dove proliferano topi lunghi sempre quanto l'avambraccio di chi
descrive, ma dove raccontano di mille traffici: lì nel ventre di
questo complesso costruito da Giovanni Pilo, palazzinaro fallito
nell'85. Numero 18 di via Azolino Hazon. Il nome è quello di un
comandante dei Carabinieri, morto sotto il bombardamento di San
Lorenzo, a Roma.
Di questa strada di Brancaccio, di questo condominio, di questi
scantinati ne hanno scritto i giornali, se ne è discusso in tivù.
Ne parlava don Pino Puglisi. E anche oggi, oggi che qui si veglia
il corpo di un ragazzo ammazzato nella piazza del Borgo, se ne
parla come di un buco nero dove sparivano dei bambini allettati
da due adulti arrestati, condotti da qualche parte quaggiù,
violentati e filmati, rimandati indietro con pochi spiccioli in
tasca per ricompensa. La storia viene fuori da una inchiesta
della procura, iniziata col racconto di una ragazzina di sei anni.
"No, non è vero, non potete dire anche questo di noi",
urla una donna. "Poveri si, ladri forse, ma pedofili no",
si agita un ragazzo.
C'è l'ascensore. "Questo, l'altro non funziona". Non c'è
più neppure la cabina. Una donna con i sacchetti della spesa:
qui all'angolo, tra la muraglia colabrodo che protegge lo
scantinato, oltre il muro del parco giochi con i cumuli di
immondizie che crescono nel lancio libero dei sacchetti, qui c'è
un negozio sempre aperto. "I Lupo?" "Decimo piano".
"Brutta fine ha fatto quel ragazzo...". "Ma
intanto, che c'è da fare?". Pianerottolo affollato. La
madre di "Tonino" è sulla porta. "Che devo dire?
Che mi hanno ammazzato un figlio. Usciva la mattina e tornava la
sera. Qualsiasi cosa abbia fatto non meritava una fine così. Era
buono, era generoso". C'è Filippo, il fratello: "Venite
dentro". In cucina il caffè forte è sulla tavola. Dal
salotto l'odore dei fiori. Di là c'è "Tonino" con
"la faccia che pare di cera". Pietro, il padre: "Lavorava,
lavorava ai Cantieri: sei mesi e poi via. Voleva continuare ma
doveva andare in una piattaforma in Egitto. Era sorvegliato e il
tribunale ha detto no". "Magari era ancora vivo" e
a Filippo gli si arrossano gli occhi. "Sette anni aveva
fatto di carcere. Maledicevo quando era in prigione, ma era vivo.
Avete scritto che aveva a che fare con la droga, ma non è vero".
"Lo avete messo sul giornale per la storia dei furti delle
auto e delle moto", ricorda il padre. "La notizia uscì
quando lo avevano rilasciato, un giorno, era uno sbaglio".
"Aveva pagato, ma la legge non lo lasciava in pace. Gli
arrivavano sempre cumuli di pena", riprende Filippo. "Aveva
voglia di stare tranquillo, sognava di avere dei figli".
Filippo, come "Tonino", è disoccupato. In famiglia
lavora Salvatore: 180 mila lire a settimana in un'azienda di
imballaggi. Stesso lavoro del padre: 58 anni e 18 di contributi
contro i 30 di lavoro. La pensione e in giro con l'Ape a
raccogliere cartone. "Ma neanche questo si può fare più.
Con la raccolta dell'Amia non si trova più niente". C'è un
amico, lui lavora all'Amia. Era nel comitato intercondominiale.
"Scrivete quello che c'è qui. Hanno messo in vendita gli
alloggi per trenta milioni di lire. Solo tre hanno comprato. Gli
altri non possono farlo. Venti famiglie non pagano il canone da
sempre. Fra poco mancherà l'acqua perché ce la taglieranno e
così la luce".
Enrico Bellavia
30 aprile 2002
Brancaccio. Lì abitavano gli accoltellati. Un appello dell'associazione Intercondominiale
"Il Comune acquisti lo scantinato di via Hazon"
Brancaccio, via Azolino Hazon 18,
storia di uno scantinato simbolo che va in
degrado con tutto il quartiere mentre la mafia e l'antimafia
discutono anni con i loro avvocati e i comitati.
Lo scantinato che fu una delle battaglie perdute di padre Pino
Puglisi prima di essere ucciso dalla mafia. Da qui sono partiti i
due accoltellati di Borgo Vecchio, Vincenzo Chiovaro e Antonino
Lupo, uccisi martedì scorso. Valore tre miliardi di lire circa,
fa parte del patrimonio di Giovanni Pilo, imprenditore le cui
società sono fallite, implicato in questioni di mafia poi
risoltesi, ma grande venditore del Comune a botte di miliardi e
miliardi. Da Pilo il Comune ha acquistato tutto il condominio che
sta sopra il cantinato di via Hazon. Da Pilo il Comune ha
acquistato per diciassette miliardi anche due immobili di via
Eugenio l'Emiro. Ma nel '96, di colpo, l'amministrazione comunale
di centrosinistra guidata da Leoluca Orlando fa marcia indietro:
i soldi della collettività non possono andare nelle casse di
Pilo. L'antimafia del tempo chiede l'esame del sangue ai percorsi
erogatori del Comune e tutto si blocca: lo scantinato resta in
abbandono, come è oggi, immondizie, malavitosi, spacciatori,
fogne rotte, vita da cani per le cento famiglie che ci stanno
sopra.
Oggi, sul cantinato di via Hazon, torna alla carica con una
richiesta d'acquisto da parte del Comune il comitato che nei
primi anni '90 sosteneva la richiesta di don Puglisi. Un appello
al Comune, alla Provincia e alla Regione dal titolo "Recuperare
Brancaccio". Firmato da Pino Martinez per l'Associazione
intercondominiale quartiere Brancaccio: "Si può recuperare
Brancaccio, e per prima cosa il Comune acquisti il piano terra di
via Hazon 18 e il cantinato attiguo di via Simoncini Scaglione
per adibirli a strutture per attività istituzionali che
favoriscano il controllo del territorio".
Il curatore fallimentare della Ingar srl, che fa capo al gruppo
Pilo, l'avvocato Vito Valenti, è sempre pronto a vendere. E
adesso tocca all'amministrazione di centrodestra di Diego
Cammarata decidere se nel 2002 le casse del costruttore meritano
i miliardi del Comune. Il caso sarà affrontato in conferenza di
servizio col sindaco, il 3 maggio, ci saranno gli assessori al
Patrimonio e alle Manutenzioni. La storia dello scantinato è già
sul tavolo del consulente del sindaco Antonio Di Liberto,
protagonista del volontariato di Brancaccio a fianco di don Mario
Golesano nel Centro Padre Nostro. Di Liberto vede laico e dice
che "il tema non sono le casse di Pilo, il vero problema è
salvare Brancaccio e lavorare per il riscatto della sua gente. Il
Comune valuterà la situazione dello scantinato ma il primo passo
dovrà essere quello di fermare il degrado". La storia dell'indecisione
del Comune la racconta il curatore fallimentare, l'avvocato
Valenti. "Due delibere della giunta Orlando, in due tempi
successivi, erano pronte per andare in consiglio e votare l'acquisto:
l'ultima è andata in consiglio comunale il 18 maggio '95. Dopo
non ho avuto più notizie del Comune, sebbene continuassi a
proporre l'acquisto. Intanto lo scantinato è diventato una
discarica, venti volte abbiamo cambiato il catenaccio e venti
volte è stato divelto. Innumerevoli le chiamate all'Amia,
periodicamente dobbiamo aprire gli ingressi murati per far uscire
la puzza, adesso le chiavi del locale, dove c'è l'autoclave,
sono affidate al condominio".
E Pino Martinez dieci anni dopo padre Puglisi pensa come sarebbe
Brancaccio se nel '96 il Comune avesse comprato il cantinato,
"acquisto al quale si oppose la Consulta 3P", vuole
precisare. Pensa che gli abitanti non avrebbero più la voglia di
svendere la loro casa e di scappare, le attività commerciali
fiorirebbero, ci sarebbe lavoro legale e chi deve passare per la
via Hazon non avrebbe più bisogno di fare il giro largo per
evitarla, dalla paura.
Delia Parrinello
4 maggio 2002
Il Comune studia un progetto
per regolarizzare il mercato e acquista lo scantinato di via
Hazon. Assedio finito, arriva il sindaco "Riporteremo la
legalità al Borgo"
L'assedio è finito. Le botteghe
alzano le saracinesche. E anche le baracche chiuse riapriranno.
Molto presto. Oggi stesso al Borgo Vecchio torneranno i vigili
urbani. Ma questa volta dovranno verificare se e in che modo sarà
possibile togliere in fretta i sigilli. Il sindaco, che da casa
ha seguito le cronache sulle dure contestazioni, si è riavuto in
fretta dall'influenza, al Borgo è andato di buon mattino ed è
tornato poco prima di mezzogiorno. Ha rassicurato e promesso. Ha
placato gli animi di molti suoi elettori che a gran voce, giovedì,
sotto villa Whitaker, schiumavano di rabbia e delusione. Ma non
solo del Borgo si è occupato Cammarata. Ha annunciato infatti
che il Comune acquisterà lo scantinato del palazzo al 18 di via
Hazon. L'edificio è quello in cui abitavano i due giovani uccisi
la settimana scorsa e proprio per questo la storia di questo
immenso garage teatro di mille traffici, con l'acqua di fogna che
lo invade, è nuovamente balzato all'attenzione. A distanza di
molti anni dalle cento lettere che Padre Pino Puglisi con il
comitato intercondominiale aveva inviato a mezzo mondo puntando l'indice
su quella terra di nessuno sotto a un palazzo di 12 piani dove
vivono 73 famiglie.
Così, una vicenda che è cominciata con 40 coltellate, un giallo
rimasto ancora irrisolto, lascia il posto a un elenco di impegni
amministrativi. Gli stessi che Cammarata ha elencato al questore
Francesco Cirillo, cui è andata la solidarietà del sindacato di
polizia Sap. Mentre il parroco del Borgo, don Paolo Turturro
invita gli assassini a costituirsi e propone un incontro tra
cittadini e questore nella chiesa di Santa Lucia.
Toccherà adesso all'assessore alle attività produttive Giacomo
Terranova, che ieri ha incontrato un gruppo di commercianti, il
consigliere Mimmo Russo, incoronato portavoce della protesta, e
il segretario provinciale della Confesercenti, una onorevole
tregua. "L'obiettivo - spiega Terranova in linea con il
sindaco - è quello di riportare alla legalità tutti. Intanto
non possiamo far finta di ignorare che certe forme commerciali
sono veri e propri ammortizzatori sociali". Dunque una
soluzione immediata e un progetto per il futuro. L'idea è quella
di dissequestrare lì dove le carenze o le inadempienze sono
sanabili. Per il resto un dissequestro temporaneo e un affido in
custodia delle baracche ai commercianti che "in tempi brevi"
saranno aiutati a mettersi in regola in vista di un risanamento
del mercato. Un progetto invocato anche dalla Fiva Confcommercio.
Intanto, tolleranza: cassette di frutta davanti alle baracche
chiuse, merce sulle lambrette e niente blitz dei vigili.
Per via Hazon, invece, un verbale a termine di una conferenza di
servizio in cui il Comune annuncia all'avvocato Vito Valenti,
curatore del fallimento dell'impresa Pilo, la volontà di
acquistare. Il prezzo è quello del 1988: due miliardi e 300
milioni delle vecchie lire. Una nuova perizia ridefinirà il
costo. In attesa, l'amministrazione, attraverso l'assessore alle
Infrastrutture Lorenzo Ceraulo, potrebbe averlo in affitto a un
prezzo simbolico. Resta aperta l'ipotesi di una requisizione che
il Comune vaglierà con la prefettura. Un centro per anziani, uno
per bambini, un distaccamento dei vigili urbani e un
commissariato di polizia sono le ipotesi sull'uso dell'edificio.
Per i servizi sociali si è già fatto avanti con un progetto il
centro Padre Nostro diretto da padre Mario Golesano: "L'impegno
del Comune - dice - é un passo avanti per ristabilire legalità
nel quartiere". "Già oggi - spiega Antonio Diliberto,
consulente del sindaco e volontario del centro - i tecnici
comunali saranno al lavoro in via Hazon per giungere rapidamente
all'acquisizione". Amia e Amap con gli operai del Dl 24 si
occuperanno della pulizia intorno al palazzo e al ripristino
delle fognature.
Enrico Bellavia
7 maggio 2002
Il condominio di Brancaccio
Scantinati di via Hazon, al lavoro gli operai dell'Amia. E ora interventi sulle fogne
Il Comune ripulisce gli scantinati di via Hazon a Brancaccio, promette di acquistarli ma l'Associazione Intercondominiale, che aveva sollevato il problema, guarda avanti e propone una serie di ipotesi sull'uso: "L'acquisto non basta - scrive Pino Martinez, a nome dell'associazione, in una lettera inviata al sindaco Diego Cammarata - tutta Brancaccio deve essere recuperata come chiedeva padre Pino Puglisi, va rilanciata una economia di tipo turistico e gli scantinati potrebbero essere utilizzati a supporto di itinerari di questo tipo: come sede per un nucleo di polizia municipale, come call center privato o pubblico per informazioni, come agenzia di operatori turistici". Tutte idee che l'amministrazione dovrà valutare mentre da ieri in via Hazon 18 lavorano gli operai dell'Amia impegnati nella disinfestazione dei locali. L'assessore alle infrastrutture Lorenzo Ceraulo ha annunciato che l'Amap nei prossimi giorni riparerà le fognature "per evitare che gli scantinati vengano allagati dai liquami". In via Hazon arriveranno anche i tecnici e le maestranze del Coime (ex DL 24), sistemeranno il cancello d'ingresso che è stato divelto e collocheranno i vetri nelle scale. Entro fine settimana l'assessore Ceraulo convocherà una riunione fra i colleghi di giunta per fare il punto della situazione: c'è la volontà del Comune di risolvere un problema che si trascina da dieci anni, dalle battaglie per Brancaccio di padre Puglisi. Il Comune possiede i 67 appartamenti che stanno sopra gli scantinati, rimasti al vecchio proprietario e oggi in curatela fallimentare. Il Sindaco Cammarata ha più volte ribadito in questi ultimi giorni l'intenzione di acquisto e ha detto che "questa scelta consentirà di sottrarre i locali all'uso illegale che ha quanto pare se ne è fatto in questi anni. Una volta acquistati dal Comune, potranno ospitare servizi destinati agli abitanti del quartiere".
Delia Parrinello
7 maggio 2002
Brancaccio. In via Hazon comincia la bonifica dell'Amia
Gli operai dell'Amia sono al lavoro da
ieri negli scantinati dell'edificio di via Azolino Hazon, a
Brancaccio. L'Amministrazione comunale ha dato il via agli
interventi annunciati nei giorni scorsi dal sindaco Diego
Cammarata, dopo un sopralluogo effettuato dai tecnici del settore
Patrimonio per verificare le condizioni dello stabile, in cui il
Comune è proprietario di 67 appartamenti.
Ieri l'Amia ha iniziato la disinfestazione degli scantinati,
affidati a una curatela fallimentare e in totale stato di
abbandono. I locali subito dopo saranno ripuliti da rifiuti e
liquami. Contemporaneamente, tecnici e le maestranze del Coime (ex
dl 24) provvederanno a sistemare il cancello di ingresso, divelto,
e a collocare alcuni vetri nelle finestre delle scale. "L'Amap
si occuperà invece, della riparazione della fognatura - spiega l'assessore
alle Infrastrutture, Lorenzo Ceraulo - per evitare che gli
scantinati continuino a essere allagati da liquami".
Il Comune ha intenzione di acquistare gli scantinati dello
stabile. "Questa scelta - spiega il sindaco Cammarata -
consentirà di sottrarli all'uso illegale che a quanto pare se ne
è fatto in questi anni. Una volta acquisiti i locali potranno
ospitare servizi destinati agli abitanti del quartiere".
31 maggio 2002
Via Azolino Hazon, proposta del Comune: "pronti all'acquisto"
L'amministrazione comunale farà una
proposta per l'acquisto degli scantinati-scandalo di via Azolino
Hazon. E' una delle decisioni prese, ieri pomeriggio, nel corso
della conferenza di servizi, convocata dal sindaco Diego
Cammarata, per affrontare i problemi dell'edificio di
Brancaccio. All'incontro, che si è svolto nella sede della
seconda circoscrizione di via San Ciro, hanno partecipato, tra
gli altri, gli assessori alle Infrastrutture, Lorenzo Ceraulo e
al Personale, Pippo Enea, il parroco di Brancaccio, don Mario
Golesano, il presidente della circoscrizione, Sandro Terrani. Il
settore Patrimonio provvederà a fare subito una valutazione
degli scantinati.
Subito dopo l'amministrazione comunale presenterà una proposta
di acquisto alla proprietà degli immobili che si trova sotto
curatela fallimentare.
31 maggio 2002
Il cardinale De Giorgi: "Atti
vandalici". Il procuratore Morvillo: "Stiamo cercando
un filo conduttore"
Le tre piste degli
investigatori: mafia, teppisti o sette sataniche
Mafia, teppismo, sette sataniche. Le ipotesi si rincorrono. Si
appuntano sulle modalità dei raid. Sui tempi: una sequenza
rapida. Sui luoghi scelti. Tutti a loro modo simbolici. Perché
in quartieri chiave della geografia criminale o perché motori di
iniziative sociali significative.
La mafia. A ritenere plausibile una regia unica, un attacco
concentrico a istituzioni distintesi per l'impegno antimafia sono
sia alcuni preti di frontiera sia i magistrati. Don Mario
Golesano, parroco di Brancaccio, guida della parrocchia di San
Gaetano, dove operava Padre Pino Puglisi, non ha mancato di
sottolineare che l'incursione vandalica coincide con il progetto
di recupero dei magazzini di via Hazon (proprio oggi l'Amia
completerà la pulizia in vista dell'acquisto da parte del Comune):
il piano cantinato dell'edificio popolare su cui da anni si
rimpallano competenze e piani di intervento, mentre l'immobile è
teatro di traffici di ogni genere. L'ultima indagine riguarda
anche un giro di pedofilia che in quella terra di nessuno avrebbe
avuto una base operativa. "C'è un clima preoccupante -
commenta il procuratore aggiunto Guido Lo Forte - e gli episodi
inquietanti iniziano ad essere troppo frequenti. Sembra si
vogliano colpire le voci che si alzano contro la mafia. Voci
rappresentate sia dalla Chiesa, sia dalle amministrazioni
pubbliche".
L'ipotesi di un segnale della mafia è anche nelle parole di
Padre Giacomo Ribaudo che però ha una sua lettura: "La
mafia potrebbe volere dire che senza di lei è il caos. Chiunque
può fra quel che vuole". "Niente zone franche",
questo è il messaggio mafioso, secondo il segretario della
camera del lavoro, Francesco Cantafia.
Atti di teppismo. È questa la chiave di interpretazione del
cardinale Salvatore De Giorgi che dei raid ha parlato durante una
visita ai detenuti dei Cavallacci a Termini. De Giorgi si dice
"preoccupato" ma lascia intendere di non ritenere
plausibile la pista mafiosa e qualifica piuttosto le incursioni
come "atti di teppismo". "Le preoccupazioni che
avevo espresso nei giorni scorsi parlando dei rischi, della
sicurezza dei luoghi sacri e delle persone che vi operano, adesso
posso dire che risultano fondate - ha sottolineato il capo della
Chiesa palermitana - L'attenzione da parte nostra è maggiore
perché i fatti che si sono verificati sono tanti e nell'arco di
pochi giorni".
A coordinare le indagini è il procuratore aggiunto Alfredo
Morvillo che ha la delega per la criminalità diffusa: "Siamo
ancora nella fase della ricerca di quanti e quali atti sono stati
denunciati - dice - una volta ottenuto il quadro completo
valuteremo l'esistenza di un eventuale filo conduttore". C'è
insomma un monitoraggio, che tecnicamente non è ancora sfociato
nella intitolazione di un fascicolo unico di indagine che
presupporrebbe indizi inequivocabili sulla matrice degli episodi.
Sette sataniche. L'ipotesi più nuova affiora ancora nelle parole
di padre Giuseppe Bucaro e di padre Giacomo Ribaudo ma non in
relazione al furto della Magione, quanto piuttosto per alcuni dei
raid vandalici precedenti. "Qui da noi - spiega Ribaudo -
hanno rubato e credo fosse questo l'obiettivo principale. Negli
altri casi era la profanazione, l'atto vandalico, la vera ragione
delle incursioni. E non escludo neppure l'intervento di sette
sataniche ovviamente ostili alla Chiesa. È un fenomeno che
conosco e che ho denunciato in passato e che nella nostra città
sta conoscendo una crescente diffusione tanto da farmi dire che
dopo Torino, una delle capitali di questo genere di culti è
proprio Palermo. Ci sono organizzazioni che contano su luoghi
precisi di reclutamento spesso frequentati da giovani. Ci sono
simboli che a molti non dicono niente ma che sono veri e propri
richiami per chi è addentro a queste cose. La presa del
satanismo, del resto, ha a che vedere con la forte carica di
religiosità che c'è nella nostra città".
Sul piano delle indagini la macchina investigativa si è messa in
moto con un comitato interforze con investigatori della squadra
mobile e del nucleo operativo dei carabinieri. A coordinare l'attività
è il questore Francesco Cirillo che ha anche informato il
prefetto Renato Profili. "Non escludo - ha detto Profili -
una riunione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza
in tempi brevi. Attendiamo però i primi risultati delle indagini".
Enrico Bellavia
16 settembre 2002
Progetto dei volontari "Portiamo qui i turisti"
Brancaccio evoca mafia e violenza, ma in quel quartiere sfortunato esistono monumenti e risorse che potrebbero riscattare un nome malfamato. E' l'idea messa nero su bianco dall'Associazione intercondominiale, formata dai primi collaboratori di don Pino puglisi, e in attesa di qualcuno che voglia realizzarla. "Recuperare Brancaccio" dovrebbe partire dall'acquisto da parte del Comune dei locali abbandonati in via Azolino Hazon 18, "in condizioni di estremo degrado, diventati simbolo della sconfitta delle istituzioni e della vittoria della cultura mafiosa" scrive Pino Martinez. "Il recupero - aggiunge - può essere legato alla ricchezza del patrimonio storico del quartiere, dal periodo arabo e normanno, passando per il Risorgimento, fino al recente passato legato al ricordo di padre Puglisi. Una ricchezza da sfruttare per dare impulso ad un'economia di tipo turistico". Il percorso potrebbe partire dalla chiesa di San Ciro, poi visitare il castello di Maredolce, San Giovanni dei Lebbrosi, Ponte Ammiraglio, San Gaetano e i luoghi di don Puglisi. E per fare questo in via Hazon 18 dovrebbe nascere il quartier generale della nuova "agenzia turistica".
Alessandra Turrisi
8 novembre 2002
Processo "Intercondominio"
Grigoli: la mafia colpì gli amici, poi eliminò padre Puglisi
"Era tutta una linea", Salvatore Grigoli - uno dei killer di don Pino Puglisi - conferma: le porte di casa bruciate in via Azolino Hazon ai membri del Comitato Intercondominiale precedettero "logicamente" l'assassinio di don Pino. Fu un atto di intimidazione, ordinato dai boss Graviano infastiditi dalla presenza e dall'azione del sacerdote e dei suoi volontari. Il primo punto di una escalation che qualche mese dopo - le porte di casa furono bruciate nel giugno del '93 - toccò il culmine con l'omicidio di don Pino. Grigoli parla in videoconferenza, da un luogo "protetto". E ricostruisce davanti al collegio presieduto da Salvatore Barresi e davanti al pm Egidio La Neve il clima che si respirava a Brancaccio all'epoca dei fatti. Nel quartiere non si muoveva foglia senza l'assenso dei Graviano, Giuseppe, soprattutto, che - secondo le dichiarazioni rese dal collaboratore - era il vero capo famiglia. "Si tratta di una ricostruzione che conferma quello che sapevamo - commenta Pino Martinez, una delle vittime di quell'attentato -, davamo fastidio. Prima provarono a intimidirci, poi uccisero don Pino".
Roberto Puglisi