Padre Puglisi insieme ai suoi parrocchiani

  "Coraggioso testimone del Vangelo"

di Francesco Deliziosi
giornalista

fdeliziosi@gds.it

BIOGRAFIA
Don Giuseppe Puglisi nacque nella borgata palermitana di Brancaccio il 15 settembre 1937, figlio di un calzolaio e di una sarta, e venne ucciso dalla mafia nella stessa borgata il 15 settembre 1993, giorno del suo 56° compleanno. La causa per il riconoscimento del martirio è stata aperta il 15 settembre 1999 - a sei anni dalla morte - per volontà del cardinale di Palermo, Salvatore De Giorgi.
Don Puglisi avvertì la vocazione sedicenne e grazie ai sacrifici economici della sua umile famiglia entrò nel seminario diocesano di Palermo nel 1953. Venne ordinato sacerdote dal cardinale Ernesto Ruffini il 2 luglio 1960.
Nel 1961 fu nominato vicario cooperatore presso la parrocchia del SS. mo Salvatore nella borgata di Settecannoli, limitrofa a Brancaccio, e rettore della chiesa di San Giovanni dei Lebbrosi. Qui avvia le prime attività per i giovani del quartiere e sostiene le lotte di un gruppo di abitanti di alloggi popolari che chiedono al Comune i servizi essenziali. Saranno i due "fili rossi" del suo impegno per tutta la vita.
Nel 1963 venne nominato cappellano presso l'istituto per gli orfani "Roosevelt" e vicario presso la parrocchia Maria SS. ma Assunta a Valdesi, una borgata marinara di Palermo. Collaborando con l’Azione cattolica continuò anche in questa nuova zona a seguire in particolare modo i giovani e si interessò delle problematiche sociali dei quartieri più emarginati della città.
Seguì con attenzione i lavori del Concilio Vaticano II e ne diffuse subito i documenti tra i fedeli con speciale riguardo al rinnovamento della liturgia, al ruolo dei laici, ai valori dell'ecumenismo e delle chiese locali. Il suo desiderio fu sempre quello di incarnare l'annunzio di Gesù Cristo nel territorio, assumendone quindi tutti i problemi per farli propri della comunità cristiana.
Il primo ottobre 1970 viene nominato parroco di Godrano, un piccolo paese in provincia di Palermo - segnato da una sanguinosa faida - dove rimane fino al 31 luglio 1978, riuscendo a riconciliare le famiglie con la forza del perdono. In questi anni segue anche le battaglie sociali di un'altra zona della periferia orientale della città, lo "Scaricatore".
Il 9 agosto 1978 e` nominato pro-rettore del seminario minore di Palermo e il 24 novembre dell'anno seguente direttore del Centro diocesano vocazioni. Nel 1983 diventa responsabile del Centro regionale Vocazioni e membro del Consiglio nazionale.
Agli studenti e ai giovani del Centro diocesano vocazioni ha dedicato con passione lunghi anni realizzando, attraverso una serie di "campi scuola", un percorso formativo esemplare dal punto di vista pedagogico e cristiano.
Don Giuseppe Puglisi e` stato docente di matematica e poi di religione presso varie scuole. Ha insegnato al liceo classico Vittorio Emanuele II a Palermo dal '78 al '93.
A Palermo e in Sicilia e` stato tra gli animatori di numerosi movimenti tra cui: Presenza del Vangelo, Azione cattolica, Fuci, Equipes Notre Dame.
Dal marzo del 1990 svolge il suo ministero sacerdotale anche presso la "Casa Madonna dell'Accoglienza" dell'Opera pia Cardinale Ruffini in favore di giovani donne e ragazze-madri in difficoltà
Il 29 settembre 1990 viene nominato parroco a San Gaetano, a Brancaccio, e nel 1992 assume anche l'incarico di direttore spirituale presso il seminario arcivescovile di Palermo. Il 29 gennaio 1993 inaugura a Brancaccio il centro "Padre Nostro", che diventa il punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere.
La sua attenzione si rivolse al recupero degli adolescenti già reclutati dalla criminalità mafiosa, riaffermando nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede. Questa sua attività pastorale - come e` stato ricostruito dalle inchieste giudiziarie - ha costituito il movente dell'omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati.
Nel ricordo del suo impegno, innumerevoli sono le scuole, i centri sociali, le strutture sportive, le strada e le piazze a lui intitolate a Palermo e in tutta la Sicilia.
A partire dal 1994 il 15 settembre, anniversario della sua morte, segna l'apertura dell'anno pastorale della diocesi di Palermo. Il 15 settembre 1999 il Cardinale Salvatore De Giorgi ha insediato il Tribunale ecclesiastico diocesano per il riconoscimento del martirio, che ha iniziato ad ascoltare i testimoni. Un archivio di scritti editi ed inediti, registrazioni, testimonianze e articoli si e` costituito presso il "Centro ascolto giovani don Giuseppe Puglisi" in via Matteo Bonello a Palermo (091-334669).

 

LA FIGURA DEL SACERDOTE

"Coraggioso testimone del Vangelo" l’ha definito Giovanni Paolo II durante la visita in Sicilia, a Catania e a Siracusa, del novembre 1994. E per la diocesi di Palermo padre Pino Puglisi - sei anni dopo il delitto (15 settembre 1993) - è oggi certamente uno dei punti di riferimento per chi voglia ricostruire un percorso di vita esemplare come carisma profetico e feconde capacità educative.
I testimoni, inoltre, in greco antico sono i "màrtyres" e l’offerta della vita, il martirio, sanciscono nella storia terrena di padre Pino l’incarnazione fino in fondo dei valori cristiani in una realtà come quella di Brancaccio, simbolo delle tante periferie siciliane dove la voce della Chiesa è spesso l’unica a confortare e promuovere il riscatto degli ultimi, con il coraggio della denuncia.
Per questo il giorno della morte di padre Puglisi in quanto momento non di sconfitta ma dell’incontro con il Cristo-vita è diventato a Palermo il giorno dell’apertura dell’anno diocesano, attimo simbolico del "kayròs", il tempo della liberazione e della salvezza.
Padre Pino si sentiva nell’intimo della propria fibra spirituale di sacerdote persona "consacrata", sacramentalmente configurata a Cristo pastore della Chiesa. E dall'amore di Dio promanava l'ansia di verità e di giustizia sociale che lo ha reso insopportabile agli occhi dei boss mafiosi a Palermo, così come - lo leggiamo nel Vangelo - l'azione del giusto è un peso insostenibile per lo sguardo del peccatore.
"3P", come amava farsi chiamare, ha saputo costruirsi questa valenza profetica attraverso pilastri senza tempo: questi sono la Fede viva e coltivata nella meditazione della Parola e nell'aggiornamento teologico, la preghiera personale e liturgica, la quotidiana celebrazione dell'Eucarestia, la frequenza del sacramento della Penitenza. E tutto questo nella dimensione di una vita poverissima: "La benzina è il mio pane", ci diceva. Il pane poteva mancare alla sua umile mensa, ma non il carburante per l'utilitaria, in modo da essere sempre pronto ad accorrere dove una telefonata o un presentimento rendeva necessaria la sua parola.
In questo articolo cercherò di rievocare chi era padre Pino, analizzando in particolar modo il suo metodo pedagogico, che ho potuto sperimentare in prima persona. Al liceo Vittorio Emanuele II "3P" è stato l’insegnante di religione mio e della compagna di classe che ora è mia moglie. Ci ha accompagnato nel nostro cammino di fede e ha benedetto il nostro matrimonio.
Quando è diventato parroco di Brancaccio, nell’ottobre del ’90, l’abbiamo raggiunto e ci siamo impegnati con lui nel quartiere. Doveva battezzare nostro figlio Emanuele e ci metteva fretta ogni volta che ne parlavamo. L’ultima volta è successo tre giorni prima del delitto. Lui aveva capito che gli era rimasto poco tempo.
Dalle vicende biografiche passerò al metodo e infine tenterò di delineare cosa stava facendo padre Puglisi a Brancaccio e il movente dell’omicidio, rispecchiando quel percorso educazione della coscienza - educazione all’amore - educazione socio-politica che è stato indicato come base per la raccolta di riflessioni nelle varie diocesi siciliane in vista del Convegno-festa.

"3P" E LA CHIESA
Don Puglisi ha vissuto profondamente incastonato nella "sua" Chiesa, ne ha condiviso gioie e tensioni, ne ha saputo precorrere gli slanci come un pioniere, un pesce pilota. E, insofferente alle sclerosi della gerarchia, ha sempre rifiutato la logica della "carriera" negli incarichi diocesani. Quando qualcuno lo chiamava "monsignore", rispondeva "monsignore lo dici a tuo padre".
Figlio di un calzolaio e di una sarta, ordinato nel luglio ’60 è arrivato a Brancaccio nell’ottobre del ’90, con alla spalle quindi trent’anni di sacerdozio e una serie di esperienze diversissime ma tutte all’insegna del dialogo.
Negli anni Sessanta e Settanta, durante le contestazioni, Padre Pino parlava con i giovani che si professavano comunisti seduto al tavolo di una taverna quando in Italia erano feroci le contrapposizioni tra destra e sinistra. Impartiva catechesi ma anche educazione sessuale a ragazzi e ragazze insieme quando persino l'Azione cattolica proibiva certi "contatti".
Fu parroco in diverse periferie della città ma sempre spinse la sua Chiesa in strada. E cominciò a interrogarsi sul senso della vita dell'uomo quando il Concilio Vaticano II e le sue riflessioni esistenziali erano di là da venire. E ancora: precorse la rivoluzione dell'ecumenismo, dialogando con i protestanti a Godrano, un paese del Palermitano in cui fu parroco negli anni Settanta.
Per tutta la vita la sua attenzione, con serenità e pazienza, fu dedicata all'evangelizzazione, ai poveri, agli umili, alle persone senza voce e forse senza neanche speranza. Si fece occhio per il cieco, piede per lo zoppo, si è fatto "tutto per tutti", per citare una delle riflessioni della Lettera ai Corinzi che gli era cara.
La gioia e l'allegria di don Pino erano contagiose come il suo senso della comunità cattolica. Fu responsabile per Palermo e poi per l’intera regione dei Centri Vocazionali e nei campi-scuola organizzati nell’ambito delle attività di queste strutture i sacerdoti diocesani e i religiosi riuscivano a stare fianco a fianco. Gesuiti, francescani, passionisti...tutti - al di là delle esperienze precedenti e della diversa formazione - si ritrovavano nelle sue iniziative in una piena familiarità che purtroppo ancora oggi è difficile creare all'interno della Chiesa, spesso così tanto divisa nei rapporti tra i vari Ordini e le parrocchie.
Padre Puglisi amava la sua Chiesa, come una madre. E infatti spiegava, con una battuta: "Noi possiamo, dobbiamo criticare la Chiesa quando sentiamo che non risponde alle nostre aspettative, perché è giusto cercare di migliorarla. Ma va sempre criticata come una madre, non come una suocera!".

IL METODO (EDUCAZIONE DELLA COSCIENZA).
I cinquemila volumi sparsi nell'abitazione di don Puglisi (oggi la sua biblioteca è stata trasferita al Seminario di Palermo), al Centro vocazioni o dati ...in "prestito permanente" agli amici attestano una solida cultura teologica (amava particolarmente le opere di Karl Rahner, uno dei padri del Concilio), filosofica (in special modo sul Personalismo del filosofo francese Emmanuel Mounier) e pedagogica. Freud e Fromm ma anche Sartre e Maritain: Padre Pino metteva al servizio della sua sensibilità le più acute riflessioni dell'esistenzialismo e i più moderni metodi della psicanalisi, della logoterapia e della terapia di gruppo (tra i suoi autori preferiti anche l'americano Karl Rogers). Strumenti che utilizzava tacitamente, senza vanterie, per affinare le notevoli qualità innate grazie alle quali entrava facilmente e profondamente in contatto con l'Altro (quella che Rogers nei suoi scritti chiama empatia).
Oltre ai suoi volumi testimonianze preziose sono le decine di cassette con le registrazioni di suoi discorsi o omelie, che al Centro diocesano vocazioni stanno ora costituendo un archivio organico. Da questo materiale sono tratte le citazioni utilizzate per questo articolo.
Lungo tutta la sua vita don Puglisi ha saputo tessere rapporti personali fortissimi, a prescindere dall'estrazione sociale, dal titolo di studio dell'interlocutore: era amico di quelli che hanno letto un milione di libri come di quelli che non sanno nemmeno parlare.
La prima fase era l'ascolto. Senza parlare mai di religione o di Dio, nel delicato momento dell'approccio non dava consigli immediati, ricette magiche. Sapeva che per usare le parole giuste, soprattutto con gli ultimi, con i deboli, bisogna prima dividere a lungo il pane e il vino con loro. In un mondo che corre, dove ognuno è in fondo perso dentro ai fatti suoi, le grandi orecchie di don Pino erano un approdo sicuro.
Il percorso dell'ascolto era lungo, tortuoso, poteva anche durare anni, poteva anche non sboccare da nessuna parte. Padre Puglisi sapeva ascoltare, rispettava i tempi di tutti, invitava a scandagliare il proprio animo, per misurare le energie prima di scegliere un traguardo. "Nessun uomo è lontano dal Signore - è una delle sue frasi preferite - Lui è vicino, senz'altro, ma il Signore ama la libertà. Non impone il suo amore, non forza il cuore di nessuno di noi. Ogni cuore ha i suoi tempi, che neppure noi riusciamo a comprendere. Lui bussa e sta alla porta. E bussa. Quando il cuore è pronto si aprirà".
Sul suo stile ha scritto parole illuminanti padre Agostino Ziino - un palermitano entrato a far parte della comunità monastica di don Divo Barsotti - in un discorso di commemorazione nel primo anniversario della morte: "Non era un grande oratore ma un prete la cui parola, proposta in quel modo tutto suo - con pacatezza, lentezza di espressione, che non era né impaccio né imbarazzo - rivelava la volontà di comunicare idee non tirate fuori frettolosamente e superficialmente, bensì meditate e ben mirate; non era neppure un uomo dalle manifestazioni e dalle espressioni vistose, eppure, essenziale com'era nel vivere l'amicizia come dono di sè agli altri, te lo ritrovavi vicino nei momenti in cui era bello o utile condividere con lui una gioia o un dolore.
Lì dove lo incontravi, seppur immerso in attività pastorali di gruppo o in dialoghi personali o nella preparazione di incontri di catechesi o di preghiera, ti accoglieva sempre come tu fossi stato per lui un dono di Dio. E mai ti liquidava frettolosamente, proprio come se fosse lui a ricevere qualcosa da te, da te che andavi a lui soltanto per un breve saluto. Il tempo nelle sue mani si dilatava; ma sarebbe meglio dire non nelle sue mani ma nel suo cuore, perché solo l'Amore riesce a dilatare gli spazi interiori del cuore perché si sappia sempre accogliere gli altri come sapeva fare lui. Ovunque fosse e in ogni momento della giornata - oserei dire proprio notte e giorno - ti offriva quel suo sorriso accogliente e rassicurante, che era già in sé messaggio evangelico di una beatitudine vissuta. Il segreto di questo suo stile di donarsi agli altri non poteva che essere una Carità scelta e assunta come atteggiamento costante, a cui mantenersi fedele, e che rendeva tutto in lui profondo e semplice, propriamente evangelico".
Quando scoccava una scintilla nell'animo del giovane che don Pino stava seguendo, alla fase dell'ascolto subentrava quella della vita comunitaria, dell'apertura del dialogo con gli Altri.
Esempi preziosi di questo lavoro, che riprendeva molte delle tecniche psicologiche della terapia di gruppo, sono i campi vocazionali che padre Puglisi organizzò lungo tutti gli anni Ottanta, prima di diventare parroco a Brancaccio. In un'atmosfera di piena libertà, senza l'obbligo di indossare "maschere" per mostrarsi agli altri, i giovani che partecipavano ai campi erano condotti a scoprire i valori dell'amicizia, della solidarietà, della fraternità, del servizio, in una parola del "vivere insieme" nel senso cristiano.
A chi, dopo aver compiuto questo cammino, chiedeva di avanzare ancora di un passo, padre Pino offriva di slanciarsi nella scelta di Dio: ognuno di noi - diceva spesso don Puglisi - sente dentro di sè un'inclinazione particolare, un carisma. Un progetto che rende ogni uomo unico e irripetibile. Questa "chiamata" è il segno dello Spirito Santo in noi. Solo ascoltare questa voce può dare senso alla nostra vita.

LA PASTORALE VOCAZIONALE (EDUCAZIONE ALL’AMORE).
"Sì, ma verso dove?", era uno degli slogan preferiti da padre Pino: verso dove vogliamo che vada la nostra vita? In sintonia con la teologia post-conciliare, don Puglisi applicò, nel suo rapporto con i giovani, il concetto di "vocazione" nel senso più esteso: dalla vocazione esclusivamente sacerdotale si passò alla riflessione esistenziale sulla "chiamata" che ogni uomo sente dentro di sè e che deve saper interpretare per venire incontro allo Spirito. Un invito alla meditazione che è servito da guida alle migliaia di adolescenti che padre Pino è riuscito ad avvicinare a Cristo. "Bisogna cercare di seguire la nostra vocazione - ha detto padre Pino - il nostro progetto d'amore. Ma non possiamo mai considerarci seduti al capolinea, già arrivati. Si riparte ogni volta. Dobbiamo avere umiltà, coscienza di avere accolto l'invito del Signore, camminare, poi presentare quanto è stato costruito e poter dire: sì, ho fatto del mio meglio. Venti, sessanta, cento anni...la vita. A che serve se sbagliamo direzione? Ciò che importa è incontrare Cristo, vivere come lui, annunciare il suo amore che salva. Portare speranza e non dimenticare che tutti, ciascuno al proprio posto, anche pagando di persona, siamo i costruttori di un mondo nuovo".

UN NUOVO MODELLO DI PRETE E DI PARROCCHIA (EDUCAZIONE SOCIO-POLITICA).
Detto tutto questo, possiamo adesso calarci nello specifico delle vicende che hanno portato all'omicidio Puglisi (per questa parte un contributo arriva anche dalle riflessioni di padre Cosimo Scordato pubblicate sulla rivista della Facoltà Teologica di Sicilia). E delineare alcune indicazioni che rappresentano un patrimonio prezioso per una "chiesa di frontiera" come quella siciliana (anche questa è una definizione del Papa).
C'è innanzitutto da analizzare il motivo dello scontro tra la mafia e don Puglisi. Don Pino propone a Brancaccio un modello di prete che i boss non riconoscono, mentre si sono sempre mostrati pronti ad accettare e "rispettare" un sacerdote che sta in sacrestia, tutto casa e chiesa, promotore di processioni - magari al fianco dello "Zio Totò" di turno -, che "campa e fa campari". Padre Puglisi sceglie invece di uscire dalla sacrestia e di vivere fino in fondo i problemi, i rischi, le speranze della sua gente. Desidera in quanto parroco, la liberazione e la promozione del suo popolo.
Don Puglisi propone inoltre un nuovo modello di parrocchia. Tra le sue iniziative, ad esempio, c’era la richiesta di una scuola media a Brancaccio, l'unico quartiere di Palermo che ne è ancora oggi sprovvisto, è un pungolo per le istituzioni. Da qui una serie di manifestazioni, di contatti con lo Stato, di proteste civili. Tutto questo avviene alla luce del sole, lontano dall'altare, con gesti che per la loro visibilità non passano inosservati: sono scelte ben precise e compiute con la consapevolezza del loro effetto dirompente sugli equilibri mafiosi. "Non dobbiamo tacere", diceva don Pino ai parrocchiani più timorosi nei giorni delle minacce, degli attentati che preludevano all'agguato. E aggiungeva, citando San Paolo, "si Deus nobiscum, quis contra nos?".
Sono scelte che lasciano intravedere l'immagine di una Chiesa che ha deciso di essere "debole con i deboli", di stare dalla parte degli ultimi, che crede nelle istituzioni, senza supplenze o logiche clientelari. Senza supplenze perché la Chiesa non deve occupare spazi o compiti amministrativi che non le competono. Senza logiche clientelari, ovvero senza prestarsi alle pressioni, alle richieste di raccomandazioni e di servitù al politico di turno (quando a Brancaccio arrivavano questi ultimi, don Pino li metteva alla porta insieme con i loro facsimili elettorali).
Hanno ben inquadrato la situazione i giudici della Corte d’Assise nella motivazione della sentenza (depositata alla fine dello scorso giugno) che ha condannato all’ergastolo i quattro imputati accusati dell’omicidio: "Padre Puglisi aveva scelto di ricostruire il sentimento religioso e spirituale dei suoi fedeli e di schierarsi concretamente dalla parte dei deboli e degli emarginati. Era andato oltre la mera solidarietà e aveva scelto di denunciare i soprusi e i misfatti; aveva gradito assai poco e anzi scoraggiato l’appoggio offerto alla Chiesa dai potenti della zona, collusi e compromessi con gli esponenti locali del potere mafioso e con il ceto politico, facile a certi compromessi".
Non è facile "educare alla legalità" quando ci si trova a costruire sulle macerie.
Possiamo qui ricordare un episodio che ha come protagonista Corrado, un bambino di Brancaccio. Un giorno si presenta da padre Pino e dice:
"Padre Puglisi, non la posso fare la prima comunione"
E perché?
"Perché oggi abbiamo studiato i comandamenti..."
E allora?
"Ce n’è uno che dice di non rubare. Ma se io non rubo, se la sera non porto a casa qualcosa, mio padre non mi fa entrare!"
Scrivono ancora i giudici della Corte d’Assise: "La comunità di Brancaccio in un territorio a prevalente sovranità mafiosa costituiva un’enclave di valori cristiani, morali e civili che non lasciava indifferenti i maggiorenti della zona, i quali a un certo momento di questa sfiancante contrapposizione decisero di uccidere il prete scomodo".
È questa di Padre Puglisi una chiesa, insomma, che si cala nella realtà del territorio e dei suoi bisogni: questo è il banco di prova di una testimonianza che vuole essere veramente evangelica. E se la Chiesa, tutta la Chiesa, saprà fare propria questa lezione allora per davvero la figura del piccolo prete di Brancaccio, caduto sotto i colpi della violenza omicida, non porterà più su di sè i segni cruenti della sconfitta, ma le stimmate di una dignità feconda, carica della forza della risurrezione.